Chi l’ha detto che uno spettatore non possa fare recuperi? Un tempo non si poteva: prime visioni, seconde, terze e poi l’oblio. Ma oggi no. Fine della premessa.
Ho rinvenuto “Criminali da strapazzo”, un Woody Allen targato 2000. Una
commedia con i dovuti sconfinamenti nella comicità, uno di quei recuperi dei
film di “genere” ma fatti alla Woody, facendo il verso e insieme rovesciando
logiche e stilemi. La sterminata filmografia di Woody Allen, fatale come le
tasse e il cambio di stagioni, ci ha abituati a questi cambi di registro alternando
film comici, commedie e film sentimentali, sconfinamenti nell’assurdo e
recupero dei “generi” appunto, il tutto reso incandescente - quando funziona -
dalla presenza di quel personaggio stranulato, complessato, sessuomane,
psicopatico, logorroico che è lui stesso.
Negli ultimi tempi l’obbligo di non
mancare all’appuntamento annuale ha portato talvolta Woody Allen a “sbrodolare”
storie un po’ abborracciate, che non funzionano, l’ultimo esempio è del 2012,
il cosiddetto omaggio alla nostra Roma.
Ma qui, in questo “Criminali da
strapazzo”, Allen è ancora nel pieno delle forze, battute e situazioni sono
brillanti, e così gli attori, con l’eccezione dell’illustre “guest star” Hugh
Grant, che appare spento e a disagio, quasi avesse fatto il film per forza, Questi
microcrimimali fanno fortuna grazie alle virtù culinarie di una moglie
pasticcera, che però cade preda della sindrome dell’arricchita e, nella
speranza di raffinarsi per avere accesso al bel mondo, finirà preda degli
sciacalli e verrà derubata, mentre suo marito, ladro maldestro e pasticcione,
si confonde sulla refurtiva e scambia una collana falsa per quella vera. Così
si va verso un finale che è un lieto fine come tutti i finali in cui si parla
di azzerare tutto e ricominciare.
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