Oltre
che una guerra dalle proporzioni spaventose, il Vietnam (1957-1975) procurò
un’ondata di film, negli anni Ottanta, quasi sempre di fiera opposizione a un
conflitto sciagurato da cui l’America era uscita sconfitta, sul piano militare
e su quello umano e di cui subiva le conseguenze sociali e psicologiche. Per la
prima volta un esercito regolare, in divisa, si era trovato travolto e
sconvolto di fronte a una guerriglia di popolo, e i regolari si erano trovati inadeguati,
costretti a ricorrere a metodi
“barbari”, inumani che facevano regredire di cento anni le conquiste civili e i
criteri di umanità. Uomini sottoposti a una pressione indicibile, costretti a
divenire non più combattenti ma assassini. La maggior parte di questi film fu
di fiera opposizione, un’opposizione variegata, dai colori dell’età
dell’acquario (“Hair”, 1979) sino a “Nato il 4 luglio” (1989) e analoghi.
In coda a questa grande ondata si
inserisce il piccolo film del 1996, rivisto ieri su Netflix, un film
decisamente di serie B, che utilizza la presenza di un'unica attrice di
cartellone, Sissy Spacek: gli ultimi giorni di un condannato a morte, ex-reduce dal Vietnam. La
donna, suo amore d’infanzia, scopre la notizia sul giornale e si allontana dalla famiglia per tentar di convincere l’uomo
a tentare l’ultima difesa e chiedere la grazia. Convinta dell'innocenza dell'ex
fidanzato, abbandona lavoro e famiglia per scagionarlo dall'accusa di omicidio.
Di qui la rievocazione dell’uccisione accidentale di un poliziotto, che fa da
cartina di tornasole della profonda crisi morale e della conseguente presa di
coscienza dei reduci, implicati in terribili eventi bellici, crisi che finirà
per investire lo stesso marito della donna, costretto a un catarsi alla quale
tentava di sfuggire. Poche azioni in un unico ambiente o quasi, il braccio
della morte.
Un dramma riproposto attraverso dialoghi talora prolissi e sempre molto datati. Quando apparve sugli
schermi probabilmente il film provocò dolorose reazioni, rievocando un dramma
di molti, oggi appare poco più che un reperto: altri drammi, altre crisi, altre
violenze. E un modo corretto ma lineare nel rievocarle non basta più.
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