La storia di un trafficante di droga, legato al cartello di Medellin e
attivo negli anni Settanta e Ottanta, raccontata dall’a alla zeta, come
si usava una volta.
Tratta dal romanzo di Bruce Porter sulla vita di
George Jung, bimbo promettente, poi giovinetto intraprendente, poi
spacciatore al dettaglio e all’ingrosso. Gli anni d’oro, i suoi anni da
nababbo, i contatti con il “cartello” colombiano e con Pablo Escobar,
l’apertura del mercato americano della cocaina, i tradimenti
a ripetizione da parte dei cosiddetti amici si susseguono nel film come
le pagine veloci di una scrupolosa agenda.
E Johnny Deep, appassionato
di trasformismo come sempre, segue con la sua faccia polivalente e un
abile trucco, le fasi e le vicende del personaggio, dall’infanzia alla
lunga prigionia solitaria della maturità. Gli funge da ottima “spalla”
Ray Lotta che interpreta suo padre, mentre Penelope Cruz, non ancora
rinata dal bisturi, si limita a una breve magnetica presenza. Cosa vuoi
eccepire? La trascrizione è più che corretta, l’interpretazione
esemplare, la storia interessante e stimolante per il regista Ted Demme.
Resta un po’ l’impressione di un compito in classe svolto con diligenza
ma senza questa assoluta urgenza e impellenza. Le vicende, in gran
parte risapute, saranno esplorati con più intensa verità nell’ottima
serie Netflix “Narcos”.
Per la cronaca George Jung è uscito di galera nel 2014, per buona condotta, un anno prima della scadenza della pena, e sua figlia Christina, toccata da questo film del 2001, ha finalmente ripreso i contatti con lui.
Per la cronaca George Jung è uscito di galera nel 2014, per buona condotta, un anno prima della scadenza della pena, e sua figlia Christina, toccata da questo film del 2001, ha finalmente ripreso i contatti con lui.
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