Otto episodi esauriscono la prima stagione di una serie tv nuova di
zecca, targata Netflix: una problematica donna poliziotta coinvolta in
una serie di accadimenti pubblici e privati insieme: uccisioni
misteriose con sacchetti di plastica, tradimenti in famiglia, relazioni
sentimentali un po’ disinvolte, affari immobiliari piuttosto loschi, tre
storie apparentemente slegate ma che finiscono per intersecarsi.
Marcella, una detective tornata al lavoro dopo dieci anni di
pausa, naviga fra questi casi che la coinvolgono anche personalmente,
fra l’ossessione per un caso irrisolto e la lotta costante contro le
ferite prodotte da una condizione psicologica disturbata. Uno strano
poliziesco di marca inglese ma dal sapore un po’ scandinavo, mai
meccanico e prevedibile - non per nulla ne è autore e regista lo
svedese Hans Rosenfeldt, quello di “The bridge” - , interpreti dalla
faccia “comune”, a cominciare da Marcella, più una casalinga inquieta
che un’eroina.
Panorami da moderna città alienante, ma dotati di una
loro suggestione, algidi e insieme ostili, ritagliati in una Londra
volutamente irriconoscibile e “diversa”, con un solo sconfinamento in
quel di Dover, situazioni che s’intersecano in modo apparentemente
casuale e finale assolutamente non catartico e risolutore, tanti sono
gli spunti aperti e sbrogliati solo in parte, come per creare gli
evidenti presupposti per una seconda stagione: è la lezione delle serie
scandinave di successo, che traggono spesso spunto e sostanza, ma
soprattutto impronta narrativa, dalla relativa “giallistica” svedese e
danese. Su questa materia cala la tradizionale perizia tutta inglese nel
mettere in piedi un racconto, attori irreprensibili e mai divi, a
cominciare dalla protagonista Anna Friel, esatti come orologi e
convincenti quanto autentici, ma insieme grigi, quasi intercambiabili.
Una curiosa positiva sorpresa. E la seconda serie?
Nessun commento:
Posta un commento