Preambolo inutile per presentarci un gruppo di cercatori di tesori che
incappa in un vecchio monastero sui Carpazi, in Romania, vi penetra, si
dà da fare, fa crollare un pavimento e scompare nell’abisso sottostante.
Dopodiché si passa all’azione successiva che con il preambolo c’entra
molto poco. Una squadra di ricercatori, messi sull’avviso da alcuni
ritrovamenti, si assume il compito di esplorare la cavità sotterranea
che sembra collegare la grotta al mare,
si arma di bombole e accessori, esplora e rimane prigioniera nel
vastissimo e articolato sistema di grotte sottomarine, le esplora in
lungo e in largo per trovare una via d’uscita alternativa, s’insinua fra
roccia e roccia, compie mirabolanti imprese subacquee offrendoci
un’orgia di immagini azzurre.
Ma la tensione non cresce e invece cresce
la noia. E allora che fa questo film girato fra Romania e
Messico? Rinuncia alla denominazione di thriller per assumere quella di
horror. Nelle interminabili quanto monotone grotte sottomarine i nostri
eroi incappano in una serie di strani mostri, un mix fra orridi vampiri e
creature tipo “Alien”, che minacciano i nostri eroi a ogni pie’
sospinto. Crescono i pericoli, gli agguati di questi alieni sottomarini e
la ricerca di una via d’uscita si fa spasmodica. Solo dopo due ore
riusciremo a “riveder le stelle” - per dirla col Poeta – e leggere
l’agognata parola fine.
Insomma un pastiche fra tentazioni archeologiche
presto deluse, spedizioni subacquee, agguati di mostri alieni. E tutto
questo senza riuscire ad evitare una sostanziale noia. Gli attori, oltre
a nuotare con bombole o senza, fanno quello che possono.
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