In un liceo tedesco neanche tanto male – scolaresca ben educata e
abbastanza tranquilla – un insegnante, che è anche l’istruttore di
palla-nuoto, riunisce un gruppo di ragazzi per una settimana a tema. Il
tema è l’autocrazia. L’insegnante, molto motivato, vuole dimostrare alla
sua classe come nascono le strutture sociali autoritarie e impegna i
ragazzi in un lavoro in comune e inizia una sorta di lenta “educazione
sentimentale” cominciando con lo spiegare cosa è un gruppo:
la scelta democratica di un nome poi la creazione di un logo,
l’adozione della camicia bianca come segno distintivo, un saluto
caratteristico, in breve l’orgoglio di appartenenza a un gruppo ben
individuato. Progressivamente questo senso di appartenenza si fa più
forte e si trasforma nella volontà di distinguersi dagli altri, di
consolidare la propria identità, magari stampigliando e seminando il
proprio logo in ogni sito possibile. Dal senso esclusivo di appartenenza
si sviluppa via via l’insofferenza verso gli altri, poi l’insofferenza
diventa intolleranza, sino a sfociare in violenza. E il buon
professore, che all’inizio della settimana di era dimostrato solo una
volonteroso animatore, assume lentamente e inconsapevolmente, ad onta
delle sue scarse volontà e capacità leaderistiche, le caratteristiche e
la funzione del capo autoritario, del dittatore. Il tutto riassunto nel
corso di una assurda settimana, anche se in realtà si tratta di un
processo più lungo qui costretto in sette giorni a fini didascalici.
Non
c’è bisogno che spieghi l’evidente metafora, condotta attraverso il
gioco sottile di un plagio che in buona parte è anche un “autoplagio”.
Il gioco travolge chi lo ha condotto ma chi è involontariamente cade
nella trappola, Un processo che si è svolge senza colpe e senza
responsabilità. Il film è sapiente, punta soprattutto sui dialoghi e
sulla parola, senza episodi cruenti, e per questo il gioco appare più
perverso. In qualche senso potremmo definirlo il corrispettivo de
“L’attimo fuggente”, con un docente che, sia pure a fin di bene, plagia
i suoi allievi. Evidentemente le giovani generazioni tedesche vogliono
riflettere ancora sul passato ma in modo diverso, penetrando nei meandri
di quella lunga involontaria – incolpevole? - seduzione che ha visto la
nascita del nazismo.
Mai declamatorio né banalmente retorico ma decisamente pedagogico, narrato in modo piano, senza lenocini formali, il film ha una storia piuttosto lunga e complessa: nasce da un gioco di ruolo condotto sperimentalmente in una scuola californiana nel 1967, poi diventa un romanzo a firma del tedesco Todd Strasser e da ultimo questo film del 2008 diretto da Dennis Gansel. Tutti convincenti gli attori, a cominciare da Jurgen Vogel, il professore-allenatore.
Mai declamatorio né banalmente retorico ma decisamente pedagogico, narrato in modo piano, senza lenocini formali, il film ha una storia piuttosto lunga e complessa: nasce da un gioco di ruolo condotto sperimentalmente in una scuola californiana nel 1967, poi diventa un romanzo a firma del tedesco Todd Strasser e da ultimo questo film del 2008 diretto da Dennis Gansel. Tutti convincenti gli attori, a cominciare da Jurgen Vogel, il professore-allenatore.
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