NARCOS



La seconda stagione di “Narcos”, serie capitana della programmazione Netflix, cerca di guadagnarsi una relativa autonomia rispetto alla precedente. La prima serie “Narcos” si presentava infatti come una severa ricostruzione, fra fiction e documentario, della storia pubblica e privata di Pablo Escobar, monarca dell’impero colombiano della droga e nel contempo raccontava la nascita e l’affermazione del traffico internazionale della droga, la dilagante diffusione della cocaina tra Stati Uniti ed Europa negli anni ottanta, il tutto mediante l’uso di un ricco materiale documentario saggiamente alternato con accurate ricostruzioni, tanto verosimili da sembrare più vere del vero. Conclusa, entro certi limiti, questa vicenda, la seconda stagione ripudia la forte presenza documentaristica per trasformarsi in una fiction, sia pure sui generis. 
Non temiamo di affermare che la prima puntata di questa seconda stagione è forse quanto di più efficace ci abbia fornito la televisione, almeno da vent’anni a questa parte, in fatto di fiction. Una storia scritta e fotografata con piglio sicuro, senza lenocini formali che sopravanzino la forza delle cose e dei fatti raccontati, con un gruppo di interpreti d’eccezione, cominciare da Wagner Moura nel ruolo di Pablo Escobar, un padrino protervo e insieme legato a biechi costumi ancestrali. Escobar miscela costumi e atteggiamenti frutto di una tradizione secolare – il culto della famiglia, il maschilismo assoluto, la prostrazione della condizione femminile, la cieca dedizione richiesta ai “picciotti” - a un uso indiscriminato della violenza, che non concede alternative, in cui la morte e l’unica punizione consentita ai traditori e alle spie. 
Come non pensare alle organizzazioni mafiose di casa nostra, ma insieme al modo edulcorato, di maniera, falsamente melodrammatico, in cui molte delle nostre fiction – non tutte per fortuna - le ritraggono? Il racconto di “Narcos” non concede soste, mescolando con saggezza momenti privati della vita del padrino agli avvenimenti “pubblici” dello stato colombiano, con politici e poliziotti proni, imbelli o destinati ad arrendersi. 
Ma ciò che ci interessa mettere in rilievo è soprattutto l’originalità assoluta del modo di raccontare, con una o più camere mobili ma senza equilibrismi sofisticati, con un montaggio che segue l’azione e non teme di alternare momenti statici con ritmi concitati. E come dimenticare i volti? E la recitazione, non veristica né verosimile ma vera, autentica? 
Con questa serie Netflix si aggiudica un primato difficilmente superabile, che non ci fa certo rimpiangere il cinema.

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