Sulle interpretazioni cinematografiche e televisive di Shakespeare si
potrebbe scrivere un grosso saggio. Dalla nascita della Settima Arte si
sono moltiplicate con puntuale regolarità. Le trascrizioni di “Romeo e
Giulietta” non si contano, quelle di “Amleto” vengono a ruota, ma poi
tante altre, da “Machbeth” a “Enrico V”, a “Riccardo III”. Tanto più
apprezzabili e apprezzate quanto più si tengono strette al linguaggio e
al testo del Bardo, che ha già pensato in
anticipo, se non alle ambientazioni scenografiche sempre rinnovabili, a
definire temi e personaggi con l’uso di una “parola” che sconfina e si
confonde nella poesia. Un’indagine sull’umanità e sulla vita non
inferiore a quella della “Commedia” di Dante.
Negli ultimi anni abbiano
assistito a singolari edizioni shakespeariane, che hanno cercato nuovi
modi e collocazioni, storiche o fantastiche, in cui collocare e far
rivivere questi testi. Ricordiamo in modo particolare il “Riccardo III”
con Ian McKellen, “Coriolano” di Ralph Fiennes, l’Amleto con David
Tennant, “La tempesta” con Helen Mirren. Senza dimenticare i grandi
exploit di Laurence Olivier e Kenneth Branagh.
Con questo “King of
Texas” (2002) il regista Uli Edel si è spinto su una strada peraltro già
battuta: approcciare e prendere le distanze dal testo del “Re Lear” per
ritrovarne personaggi e tematica stavolta in un West dai larghi
orizzonti. Ed ecco Patrick Stewart, attore shakespeariano per eccellenza
oltre che capitano della Enterprise, vestire i panni di un protervo
latifondista con la deprecabile idea di dividere il vasto feudo fra le
sue figlie, per venire poi ripudiato dalle prime e trovar rifugio presso
la terza che era stata da lui diseredata.
E’ evidente che il film segua
la trama del “Re Lear” con tutto quel che segue, scontri, tradimenti,
follia: ma ridotta all’osso, ripudiandone al novanta per cento quel
linguaggio che ne rappresenta la sostanza, storia e personaggi appaiono
depauperati, privati della loro valenza drammatica e poetica, e il film
risulta schematico, direi semplicistico. La trasposizione è audace, ma
di trasposizioni audaci, in grado di sostenere la ricchezza del Bardo,
ne abbiamo viste ben altre e con ottimi risultati, mentre stavolta, pur
nella ricchezza di azioni, scontri e personaggi, il film dà un senso di
povertà, come se un ricco bottino fosse stato malamente saccheggiato.
Peccato!
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