Non ci sarebbe molto da dire su questo horror di serie B, stilato
secondo le regole del “genere” ma con una certa compiacenza per lo
splatter - cimiteri, tombe, morti assortiti eccetera – se non
costituisse la vera e propria sagra dei “pupazzi maledetti” dagli occhi
semoventi e dalla mascella mobile, insomma quelli che un tempo usavano i
ventriloqui.
Quello dei “pupazzi malefici” o delle “bambole assassine” è
un vero e proprio sottogenere dell’horror, basti pensare
alla terribile dinastia dei Chucky, che ha fruttato almeno sei film, e a
tutte quelle rappresentazioni di pupazzi e bambolotti che, nella loro
artificiale innocenza, celano un’aurea maligna e perversa e istinti da
killer. In maniera bislacca e decisamente terrificante questi film si
rifanno a un tema antico, quello dell’icona, del feticcio, che può
facilmente caricarsi di potenza magica e vivere di vita propria. Ma
anche al tema del burattino o della marionetta a cui il burattinaio –
palese o ascoso – può infondere un’anima e una personalità. Come in
certi riti animalisti, quasi “per effetto diabolico”, si assiste alla
degenerazione malefica del fantoccio, la materia che si carica di
energia vitale, tema non molto dissimile da quello più moderno e
aggiornato del robot che ingaggia una lotta con il suo creatore,
varcando i limiti da lui assegnatigli.
Nel film in oggetto assistiamo a
una vera e propria sagra del fantoccio, del pupazzo ai quali un’orrida e
defunta burattinaia affida la propria vendetta e il proprio odio.
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