Premiato con l’Oscar 2003 quale miglior film straniero, tutto il mondo
lo ha visto e lodato questo film canadese. E io no. Così ho approfittato
di Netflix per vedermelo.
Film arduo sul tema dell’eutanasia ma su
tanti altri temi e motivi. L’abbandono del malato, gli ostacoli della
pseudo-organizzazione ospedaliera, la corruzione irrefrenabile di
sindacalisti e burocrati, il valore onnipotente del denaro, - di cui il
figlio del malato terminale fortunatamente
dispone, riuscendo a procurare al padre morente l’amicizia prezzolata
degli ex-amici, la compassione, il “conforto” della droga e infine la
dolce morte per overdose, - e tanti altri temi toccati con leggerezza ma
non evitati e senza fare l’occhiolino di prammatica allo
pseudogiornalismo e al “politically correct”.
Un film singolare come
tutta l’opera di questo regista che non teme di affrontare temi ardui
(da “Jesus of Montreal” al “Declino dell’impero americano”) ma lo fa
senza la presunzione di scioccare lo spettatore, semmai di invitarlo a
riflettere. Così, nel film, si parla della morte fisica ma anche di
quella della società. La morte fisica fa da contro altare al morire
delle ideologie, dei progetti utopici, delle religioni e del sistema
economico fondato su liberismo e capitalismo.
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