LA FORTUNA DI COOKIE



Robert Altman, il regista statunitense scomparso nel 2006, è certamente uno degli autori più singolari e certamente il più aperto ad ogni sorprendente e talora rischiosa sperimentazione, un regista che si è fatto un vanto di riuscire a sconvolgere tutti i generi e tutte le tecniche di ripresa, forte anche della sua nascita come regista di tv: dai grandi affreschi popolari come “Nashville”, “I protagonisti”, “America oggi”,  alle storie private,  a flop improponibili, girati non con la mano sinistra ma con il piede. Più volte dato per morto e improvvisamente resuscitato e poi di nuovo eclissato. 
Questo “La fortuna di Cookie” è un film del 1999, una  commedia nera con personaggi sbozzati talora al limite delle macchietta (come quelli di Glen Cloose e Julianne Moore) e collocato in un’atmosfera da paese abbandonato, da periferia rimasta fuori del tempo e dello spazio, un’atmosfera evocata, anzi creata, con pochi tratti: ad Holly Springs, piccolo centro del Mississippi, la vita procede con i ritmi lenti e un po' annoiati tipici delle zone del Vecchio Sud. 
Ancora un esperimento, una storiella curiosa, volutamente pazza, un ondeggiare fra serietà e bizzarria, una superba performance di attori, una Patricia Neale rediviva, una brillante Liv Tyler, un impagabile Charles S. Dutton e tutta una serie di caratteristi al meglio, e poi tinte smorzate, un racconto quasi in sordina, che alterna i toni in maniera sapiente, con il tocco da vecchio leone.

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