BROADCHURCH



Netflix ci consente il recupero di serie non distribuite o mal distribuite dagli italici canali. L’ultima che ho visto è la prima stagione in otto puntate (girata nel 2012 e trasmessa nel ‘13) di un singolare ”giallo” ambientato in un piccolo centro marittimo inglese, dal nome immaginario di Broadchuch, dominato dalla rupe lunare dell’East Cliff incombente sulla spiaggia. 
Un “giallo” intenso ma “a tempi lunghi” – da non confondersi con le proverbiali “lungaggini televisive” - che offre spazio ad alcuni personaggi per costruirsi e definirsi: un ispettore, emarginato per uno scandalo, piomba in paese per indagare sulla morte di un undicenne, esautorando la poliziotta “casereccia”, che viene respinta in secondo piano in quanto non all’altezza per la sua familiarità con la comunità locale che la portano a fidarsi troppo delle persone. La ricerca dell’assassino s’interseca con i diversi casi umani e si dipana sino a coinvolgere tutti gli abitanti, rivelando aspetti segreti e colpe non confessate. La storia diventa “le storie”, l’inchiesta su un delitto diventa rivelazione di destini e di segreti nascosti. 
Un lavoro ben condotto, con riprese suggestive ma non artificiose, con “effetti” centellinati e mai indisponenti e soprattutto con interpreti eccezionali, di una misura e di un’intensità rare volte riscontrate in un lavoro “di genere”. Primo fra tutti David Tennant – di lui ricordiamo il suo originale “Amleto” della BBC – che qui è il commissario, cardiopatico, puntiglioso nel suo lavoro, che non demorde. Poi la poliziotta, Olivia Colman, e indimenticabili personaggi “minori” come la figura tragica della “donna col cane” interpretata da Pauline Quirke. Sono ansioso di vedere anche la seconda stagione, ma so che è già in lavorazione la terza. Della prima è stato realizzato un remake americano con lo stesso Tennant protagonista.
Non possiamo esimerci da una riflessione: da qualche anno la fiction italiana, nonostante si autogratifichi e vanti i propri ascolti, è precipitata a un livello decisamente insopportabile: ambientazioni sciatte, riprese sommarie e falsamente disinvolte, sceneggiature abborracciate dove abbondano luoghi comuni e situazioni banali, ma soprattutto un livello di recitazione insostenibile e ingiustificabile in un paese un tempo reputato di grandi attori come l’Italia. Facce insignificanti, qualche goffo belloccio, molte ragazzine isteriche, smorfie esagerate, movenze “coatte”, dizione inesistente, voci sgradevoli e battute incomprensibili... Ci esimiamo dal citare nomi e titoli per puro amor patrio. E se imitando Manzoni, che andava a sciacquare i panni in Arno per depurarsi dai suoi “lombardismi”, spedissimo tutti – autori, attori e realizzatori - a fare un salutare bagno nel Tamigi? 


Netflix mi offre la seconda stagione, nata a due anni dalla prima, come approfittarne, anche se avevo l’impressione che con la prima serie la storia fosse stata felicemente conclusa? 
E invece il gioco si riapre e – ahimè! – ci delude, almeno in parte. Il singolare complessato e stralunato detective ricompare sul luogo del delitto, con famiglia appresso, l’assassino imbelle rinnega la sua sofferta confessione con relative conseguenze processuali, sorgono nuovi personaggi e pasticciate seconde storie.
Ma la bravura di Tennant e soprattutto della Colman riescono a far passare tutto il resto in secondo piano. Ma la singolare inquietante “location naturale” non gioca più il suo forte ruolo di coprotagonista. 
Che la seconda stagione ceda rispetto alla prima non è un caso più unico che raro. Molto spesso la prima stagione inaugurale di una serie ha per presupposto una storia conclusa, ispirata a un film o tratta da un romanzo. Poi il successo della vicenda, gli alti ascolti, la felice individuazione degli interpreti spingono i produttori-creatori a iterare ad oltranza il loro gioco. E i sequel o le cosiddette successive stagioni hanno comunque sorti diverse, possono essere migliori o peggiori del previsto, ma sono in ogni caso destinate ad alterarne la compattezza, diciamo la filosofia. Esempio limite la lunga serie “Lost”, che da una vicenda di sopravvissuti in un isola, deserta ma inficiata da oscure presenze, divenne un seguito di episodi a sé stanti, piuttosto strampalati, a disprezzo di ogni rigida o vaga consecutio.
Ultima notizia: è stato annunciato l’inizio delle riprese per una terza serie del nostro “Broadchurch”: auguri!

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