Guarda su Netflix
Vedi il panorama nevoso, volti poco o per nulla noti, e pensi che il
film sia svedese o danese o su di lì, anche perché Netflix ti ha
dimostrato che quei paesi, oltre ad aver dato i natali a due “mostri”
del cinema quali Carl Theodor Dreyer ed Ingmar Bergman, sanno anche
fornirci prodotti seriali niente male, tanto da essere diligentemente
copiati dai furbi statunitensi.
Tutto sbagliato: il film di cui parliamo
(“The River King”, 2005) è canadese e i panorami nevosi
che impongono brividi gelidi, specie a uno spettatore freddoloso come
me, sono proprio i loro. Ma il freddo nordico non incide solo sui
panorami nevosi e sui ghiacci infidi, che celano le acque di laghi e
acquitrini, ma anche sull’andamento della storia che è altrettanto
infreddolito dello spettatore. Senza usare altri eufemistici
escomatages, la noia è noia e questa storia, tratta da un romanzo di
Alice Hoffman, dovrebbe garantire la suspense ma ne è del tutto priva.
Parla di un ragazzo, probabilmente evaso da una scuola esclusiva, e
ritrovato cadavere sotto i ghiacci: nonnismo andato storto? Omicidio o
suicidio? Il povero poliziotto ci perde la testa, cercando di spezzare
le previste omertà, ci scommette pure il posto aggirandosi fra la fauna
giovanile, ma anche adulta, che dovrebbe aiutarlo a far luce. Alla fine
dell’estenuante ricerca – estenuante soprattutto per noi spettatori –
che vede tirare in ballo anche inquietanti tracce di sapore
soprannaturale e strani riti pseudo-esoterici, la verità viene fuori,
ammannita dai previsti centellinati flashback.
Ammiriamo la cura con cui
il regista ha voluto tradurre in immagini rarefatte un romanzo che
prometteva bene, quelle distese bianche, quei dialoghi scanditi dalla
neve che cade, il volto della fanciulla dai capelli rossi, il nuoto
coraggioso di chi se la sente di solcare le acque, ma il tutto non
carbura. Sarà per la prossima volta.
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