HELL OR HIGH WATER

 


Il fatalismo – inteso come ineluttabile impossibilità di sfuggire al proprio destino – domina i personaggi di questa storia ambientata in una America sconfinata quanto desolata, la cui parte abitabile si riduce agli esili margini del nulla. Personaggi che sono dei “vinti”, per usare un termine caro a Giovanni Verga: due fratelli rinnovano in modo straziante il destino, più che le avventure, dei mitici fratelli James, predatori di banche con rapine improvvisate il cui buon esito è affidato semplicemente al caso, e inoltre un poliziotto al termine di una carriera, in attesa di intercettare i malviventi, quasi d’imbattersi in loro, e un altro poliziotto di origine indiana, che nella morte della sua razza pre-avverte la propria fine. 
“Qualunque cosa accada, a qualunque costo!” (significato reale dello slang statunitense “Hell or high water”, titolo del film): non c’è speranza di redenzione, e se c’è per uno solo di essi – che riesce a pagare l’ipoteca per preservare e restituire la fattoria ai suoi figli - è una speranza legata al caso, all’imprevedibile, e sarà accompagnata da una melanconica crisi interiore, non destinata a scomparire. Bandito e poliziotto saranno due sopravvissuti con la coscienza placata e inquieta per sempre. 
Il film, nei suoi ritmi lenti come suggeriscono gli orizzonti uguali e illimitati di questa singolare America, ha un suo innegabile fascino, un’ottima sceneggiatura, una robusta regia ed è ben sostenuti dai suoi interpreti, un Jeff Bridges per cui gli anni sono passati molto in fretta, che è il vecchio Texas Ranger in attesa di pensione, i due giovani banditi Chris Pine e Ben Foster, e qualche figurina ben raccontata in poche immagini e battute, come la vecchia cameriera del ristorante di sole bistecche. E quelle agenzie bancarie linde e quasi sempre vuote, unico segnacolo di civiltà in un paese incivile. Un’America attuale e insieme senza tempo.

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