DESIGNATED SURVIVOR

 


Sopravvissuto alla strage che ha distrutto il massimo consesso politico degli Stati Uniti d’America - Presidente compreso - un funzionario messo in salamoia nel caso di devastante sinistro, considerato quanto mai improbabile ma secondo una consuetudine nata durante la guerra fredda, Tom Kirkman diventa ipso facto il capo politico della potenza mondiale numero uno. Ma lui è un semplice funzionario e neanche tanto accetto alle alte sfere che erano in procinto di esonerarlo dal suo compito all’interno del gabinetto presidenziale per trasferirlo altrove. Diventato Presidente il sopravvissuto deve affrontare compiti immani. Li affronterà con molto rispetto per i musulmani, sbrigativamente imputati di genocidio dai soliti militari guerrafondai, ma con molto autorità nei confronti di governatori secessionisti. 
Sono arrivato alla quarta puntata e vado avanti perché la serie è ben fatta e costruita, intrigante quanto basta, con Kiefer Sutherland protagonista, veterano dei tanti ottimi cicli di “24”, che qui ha abbandonato i panni dell’indomito Jack Bauer, quindi non è più in versione D’Artagnan. La serie, “fresca di giornata”, cioè targata 2016, attraversa i temi del momento e li svolge nel modo più “politically correct”, seguendo i dettami della pubblica opinione più corriva: lotta all’integralismo, alla corruzione, alle fobie dei militari, agli intrighi dei politici bugiardi, ai tranelli dei funzionari troppo intraprendenti, sapiente cocktail multietnico declinato più a favore degli arabi che della negritudine. Un Presidente compassionevole ma rigoroso, tollerante ma decisionista, cioè “al bacio”. 
Un cast - come al solito in produzioni del genere - ben scelto e calibrato: Kiefer rinuncia alle prodezze da Jack Bauer per mostrarci il volto basito e preoccupato di un Presidente suo malgrado, conscio delle sue responsabilità. Riuscirà a sconfiggere i nemici interni ed esterni? E’ quanto vedremo.

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