Surrogati. Una parola che in me evoca i caffè di cicoria che i miei
genitori consumavano negli anni del secondo conflitto mondiale. Ma qui
la parola viene usata per identificare degli pseudo-robot in forma di
“doppi” meccanici, strettamente collegati al cervello del principale e
di cui il possessore può servirsi per farsi sostituire degnamente in
ogni funzione vitale, insomma dei robot doppioni, belli come divi del
cinema, giovani e funzionali, al massimo e oltre delle capacità
umane. L’esistenza di questi sostituti funzionali provoca la giusta
indignazione di chi non vorrebbe rinunciare alla proprio identità umana
“numero uno”, comprese le rughe di vecchiaia, i malanni di salute e le
magagne varie.
Questo lo spunto che sceneggiatore e regista sviluppano
in modo abbastanza maldestro nonostante il budget a disposizione. Un
surrogato di Bruce Willis, levigato e ringiovanito quale nessun chirurgo
plastico sarebbe stato in grado di fare, viene distrutto in uno scontro
e il principale – un Bruce Willis notevolmente stagionato, stile
Vodafone – rinuncia a crearsene un altro alla ricerca dell’umanità
perduta. Sino scontrarsi con l’inventore dei surrogati che, in un
rigurgito tardivo di pentimento per la sua invenzione, vorrebbe
distruggerla insieme a tutta la pletora di surrogati che ormai
gremiscono il mondo. Ma questo lo scopriremo via via.
Sappiamo che il
film ha attraversato molte vicissitudini creative, e si vede. Non
bastano i mezzi e le abilità tecniche per sfruttarli al meglio, non
basta la presenza magnetica di Bruce, non affievolita dalla sua attuale
ricerca spasmodica della fibra, non bastano esemplari incidenti
automobilistici e inseguimenti acrobatici. Ci vuole alla base una solida
sceneggiatura e una chiarezza di svolgimento che qui non c’è. Il film
rotola fra diverse tentazioni: film post-apocalittico, fantascienza,
thriller? Peccato, perché preso sequenza per sequenza, sarebbe godibile!
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