E’ una delle più belle e malefiche invenzioni della cosiddetta società
dei consumi, made in Usa e modicamente importata soprattutto nelle
filiali europee delle imprese statunitensi: ogni mese l’impiegato che si
è dato più da fare meritandosi la riconoscenza dei superiori viene
gratificato con un bella foto a colori affissa in mostra all’ingresso o
nella hall di istituzioni commerciali. E ricomincia la gara per
meritarsi simile onore, probabilmente corredato
da gratifiche, nel mese che segue. Come succede ai secchioni e ai primi
della classe, l’impiegato del mese, quasi sempre viscido e lecchino,
viene vezzeggiato dai superiori e disprezzato dai colleghi, con tutte le
prevedibili situazioni quotidiane, facilmente immaginabili anche se lo
sceneggiatore non vola alto.
La lunga introduzione per commentare un
film che forse non ne avrebbe bisogno. Quando ci si basa su una storia
prevedibile con finale ultraprevedibile, si allineano tipi buffi, cioè
le cosiddette macchiette, si esibiscono come protagonisti un volonteroso
belloccio e una bella fanciulla possibilmente bionda il film è già
fatto, ma può venirne fuori sia una commedia divertente e
sufficientemente comica che una commedia decisamente scema e già vista
infinite volte.
“L’impiegato del mese” si ferma a mezza strada ottenendo
la sufficienza: in fondo diverte “qb”– come dicono i bugiardini delle
medicine – cioè “quanto basta”.
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