THE HOUSE OF CARDS TRILOGY (BBC)



PRIMA STAGIONE

I grossi ratti prolificano per le strade e negli angoli nascosti della bella Londra, una metafora che punteggia tutti i capitoli (4 per la prima stagione 1990) di questa miniserie inglese la cui sceneggiatura è stata adattata da Andrew Davies ispirandosi al romanzo scritto da Michael Dobbs, ex Capo dello staff presso il partito conservatore.
La serie ha trovato una fortunata riedizione anche negli Usa con Kevin Spacey protagonista, ma qui, in piena Inghilterra, attorno al personaggio dell’uomo politico Francis Urquhart, splendidamente interpretato da Ian Richardson, affascinante quanto repellente, è in stato d’accusa tutta una classe politica che gioca sul sotterfugio e sulla selvaggia reciproca eliminazione, anche fisica, schermata dietro la solida cortina del perbenismo. Rivolgendo puntualmente lo sguardo all’obbiettivo e “parlando alla telecamera”, come si suol dire, il protagonista rende complici i suoi spettatori a cui svela i sotterfugi e gli equivoci della politica “politicante”. Il tutto all’interno di una ricostruzione scenografica e di un linguaggio politico ineccepibili. 
Un splendida lezione di cinismo a cui la serie dà un esito piuttosto “giallo”, quasi ad esorcizzarne la spietata verosimiglianza con la realtà di tutti i giorni e di tutti i paesi. 


SECONDA STAGIONE - SCACCO AL RE

Avendo esaurito la visione della seconda stagione della serie BBC “House of cards” sono in grado di capire la profonda differenza che separa un’acuta e arguta satira sul mondo politico dai goffi e puerili tentativi portati avanti dal cinema italiano. In poche parole quanto sia vasto il divario fra il disegno, terribile nella amabile descrizione di un mondo politico immaginario, calcato su una nazione che è l’Inghilterra ma passibile di letture più vaste, dalle sgraziate parodie tentate da alcuni nostri registi: penso all’osannato “Divo” con la goffa teoria delle sue “macchiette” e dei suoi pupazzi foggiati sui politici nostrani, buoni a far sghignazzare solo spettatori radical chic, o anche al guazzabuglio del “Caimano” morettiano raccontato con stentato livore. 
Ma torniamo in Inghilterra che è meglio: narrando i destini e le fortune politiche di Mister Urquahart, che non somiglia ad alcun uomo politico in particolare, nonchè del re d’Inghilterra, che non somiglia ad alcun monarca inglese in particolare, gli autori riescono a raccontare un mondo di sottili perversioni, di battaglie segrete, di amori e di rancori, imprimendo alla storia anche un piglio autenticamente “romanzesco”. Avevamo avuto il timore, vista la prima puntata del nuovo ciclo, che la serie prendesse troppo le distanze dalla feroce cattiveria del primo ciclo, ma la visione delle successive ci ha fatto fortunatamente ricredere: stessa cattiveria, stessa feroce satira con un più d’invenzione. 
Da ultimo non posso non soffermarmi sugli attori. Così sottili, attenti, espressivi, in una parola perfetti. Mi riferisco in modo articolare a Ian Richardson, che è il sottile ambiguo perverso e incantevole primo ministro e alla bionda sua partner che, in quanto a finezza recitativa, non gli è da meno. Senza far torto a tutti gli altri. Una serie che ci riconcilia con il cinema e con la tv e che, dall’alto dei suoi vent’anni di età, resta una lezione esemplare e irrepetibile. 


TERZA STAGIONE - ATTO FINALE 

(SPOILER!)

Tanto entusiasta delle prime due stagioni della serie BBC quanto deluso da questa terza ed ultima. Intendiamoci bene. L’intrigo è sempre avvincente, anzi stavolta si fa più eminentemente politico e, trascurate gli indugi sulla vita sentimental-erotica dell’impagabile Urquhart, prende in considerazione la dura lotta di successione fra leaders per altro coinvolti in un complesso affare di stato: un accordo truffaldino per la composizione di un trattato fra le due frazioni cipriote, con il losco retroscena di un affare di sfruttamento petrolifero e il finale con un cecchino appostato che risolve il tutto. Segue un serie di tradimenti a catena, di giochi sporchi a base di ricatti, di voltafaccia politici e il “final cut” con un attentato preparato e l’uccisione del nostro protagonista. 
Vicenda a parte si ha la netta comprovata sensazione che vi sia stata una feroce riduzione di budget e una sorta di disinvolto sfruttamento finale di una serie che aveva raggiunto i più alti livelli per due stagioni consecutive. Le location sono estremamente ridotte, le cosiddette “scene di massa” sono gestite con il minimo di mezzi, il fine gioco delle riprese e delle curatissime immagini ridotto a una serie fitta d’incontri verbali dove il classico impiego televisivo dei piani ravvicinati, campo-controcampo, ha la meglio. Gli stessi “a solo” del protagonista rivolto alla macchina da presa, che erano stati una delle trovate principe, diventano pleonastici dichiarazioni usate più come raccordi narrativi che come commenti di sapore satirico, oltre tutto colte mentre il protagonista si trova in gruppo e quindi depauperate nel loro significato di furbeschi ammiccamenti riservati allo spettatore. Molto meno umorismo, molto meno fantasia, pleonastiche scene di sesso, francamente goffe, fra due attempatelli ben portanti. 
Giocano inoltre a sfavore della storia la mancanza di un valido e aggressivo personaggio femminile, presente nelle prime due serie, non suffragato stavolta dai personaggi della moglie di Urquhart e della segretaria-amante del rivale, entrambe decisamente meno intriganti delle precedenti. Fotografia, interpreti, location tutto al risparmio. Ian Richardon si agita in un semideserto di validi comprimari che siano in grado di fargli fronte.
Peccato, la bella storia è decisamente buttata via o portata avanti al solo intento speculativo di occupare un’altra stagione. Non ce l’aspettavamo dalla BBC.  

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