IDENTITA'



Una volta venivano definiti “matrimoni misti” e guardati con una certa diffidenza i sodalizi fra persone diverse per etnia o razza. Una definizione da recuperare, con relativa diffidenza, per un film come “Identità” (2003) che si presenta come un film psicanalitico, diventa un thriller con una punta di horror e chiude con il ritorno alla formula iniziale, con una spruzzatina di paranormale per insaporire il cocktail. 
Eppure il gioco riesce nel costruire, con un racconto “avanti e indietro”, le strane coincidenze che provocano la presenza di personaggi diversi – una prostituta, una famiglia incidentata, un poliziotto che accompagna un pluriassassino, eccetera eccetera – dentro lo stesso motel, un ostello alla Norman Bates, isolato lungo la strada trasformata da un violento nubifragio in un impraticabile acquitrino. Da un incidente stradale che dà il via all’ecatombe discende una teoria di misteriosi delitti, in quel ricetto da cui è impossibile uscire a causa del persistente e ossessivo nubifragio. E qui si scatena un gioco a “chi è stato” che ricorda i dieci piccoli indiani di Agatha Christie a cui il film dichiara di ispirarsi. Quando finalmente riusciamo a individuare il colpevole il gioco si rovescia e siamo daccapo con la psicanalisi e le doppie personalità, e poi ancora...
Comunque, a parte il connubio spericolato, il trucco riesce, perlomeno al cinquanta per cento, e la storia “gialla” è ben narrata, con un John Cusack convincente, un Ray Liotta un po’ di maniera e una seducente Amanda Peet. Diretto da James Mangold, con un efficace commento musicale del collaudatissimo Alan Silvestri.

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