TALLULAH


Non a caso fra i produttori di “Tallulah” figura anche quel Chris Columbus a cui dobbiamo una serie di film cosiddetti per famiglia, molti dei quali dominati dalla presenza di marmocchi o bambini molto piccoli, gioia e disperazione dei rispettivi genitori. 
Stavolta ci allontaniamo ma di poco: Tallulah, giovane dropout che vive da nomade in un furgone, capitata per caso in una stanza d’albergo per rubacchiare come suo solito, viene inopinatamente “catturata” da una infante di un anno che le appare trascurata sino all’inverosimile da una madre più incosciente che snaturata. E se la porta via. Troverà rifugio dalla madre del suo ultimo compagno a cui fa credere che la bimba sia figlia di suo figlio e, nel corso di una convivenza precaria e stravagante, porterà un sorriso di strana spregiudicatezza nella vita di una donna precocemente arresasi alla gioia di vivere. E il film diventa soprattutto una variazione sulla maternità, esaminata in tre accezioni diverse. 
Avventura tragicomica a relativo lieto fine, scritta e diretta da Sian Heder, con profusione di quelli che una volta si chiamavano buoni sentimenti, insomma un divertimento soft con un pizzico di poesia. Tutto in questo filmetto fatto a mestiere, con una protagonista simpatica, anzi con tre: Tallulah, interpretata da Ellen Page, giovane ma già navigata attrice canadese, la madre svaporata Tammy Blanchard) e la madre spigolosa e burbera (Allison Janney), tre madri che in qualche modo finiscono per aggrapparsi l’una all’altra. 
Con l’aria che tira di questi divertimenti rosa con un pizzico di umorismo, ma che fanno anche un po’ riflettere, forse ne abbiamo bisogno.

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