Dalla straripante miniera di Netflix abbiamo attinto un film che ci era
sfuggito – come sfuggono al pubblico l’ottanta per cento dei film
premiati nei Festival – nonostante l’aureola del Leone d’oro conquistato
nella competizione del 2002.
“Magdalene”, coproduzione
irlandese-scozzese racconta, attraverso una pagina efficace, la storia
di una maledetta istituzione come i “reclusori-conventi” della Maddalena
– estinti solo nel 1996 - e dedicati a recuperare le “ragazze
perdute”, attraverso i quali – ci informa una didascalia finale –
passarono circa trentamila disperate prima che la “benefica” istituzione
cattolica fosse finalmente eliminata. Le ragazze di cui seguiamo da
vicino la storia sono Margaret, violentata dal cugino durante un festino
matrimoniale, Rose una ragazza madre a cui viene strappato il figlio
dalla famiglia “benpensante”, e Bernadette, un’orfanella un po’
civettuola o sensibile agli apprezzamenti maschili, nonchè Christine,
un’altra ragazza madre labile di cervello. Queste ed altre inserite in
una serie di lavori forzati all’interno di una sorta di lavanderia
industriale, conculcate nel corpo e nello spirito da suore-aguzzine.
Un
inferno dantesco che l’autore-regista Peter Mullan descrive senza
indulgere nel pietismo, nella facile commozione o nella drammatizzazione
di maniera, difetti riscontrabili in molte o quasi tutte le opere
dedicate ad esplorare il mondo dei conventi e dei reclusori femminili.
Un film rigoroso quanto impietoso, descritto con un realismo sobrio
nella sua terribile oggettività. I volti sono eccezionali, il linguaggio
è esemplare: un Leone più che meritato. Va dato atto a questa
produzione, varata da due paesi a forte presenza cattolica, di aver
avuto il coraggio di tradurre in racconto una denuncia che mette in
stato d’accusa la benpensante comunità del paese: l’azione del film
inizia nell’anno 1964, ma sembra di essere almeno in pieno ottocento.
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