BREAKOUT KINGS



Sono a metà della prima stagione (2011-12). Dopo il pilot, che dovrebbe fornire la chiave ma che costituisce un avvio un po’ pasticciato, la serie prende quota. “Breakout kings”: la trovata è originale. Una pattuglia formata da esperti in evasione, perché evasi o ex-evasi a loro volta, forma una squadra a servizio della polizia per catturare, grazie alla loro esperienza diretta, gli evasi pericolosi, il tutto in cambio del trasferimento in un carcere di minima sicurezza e della sottrazione di un mese di detenzione per ogni fuggitivo riacciuffato; naturalmente in caso di fuga l’accordo salta. Ogni membro del gruppo ha poi la sua specializzazione ed un ruolo ben predefinito. Ma a scanso di equivoci un cartello in sovrimpressione, ad ogni fine puntata, avverte prudenzialmente lo spettatore: guardate che è una “balla”, un artificio narrativo, squadre così non esistono né possono esistere.
Pretesto a parte, dopo il rituale pilot, ogni episodio sviluppa sostanzialmente il “caso” della cattura di un evaso, tracciandone la fuga e la storia e mettendo in secondo piano lo sviluppo – non invadente, per fortuna - delle storie personali dei singolari cacciatori. E la serie finisce per diventare né più né meno che un poliziesco ben costruito, di produzione americana e girato in Canada, un “crime drama”. 
Sappiamo che la serie si è interrotta dopo la seconda stagione e complessivi 23 episodi. Basandoci su quelli visti sin ora il giudizio è moderatamente positivo, sempre all’interno del “genere” e senza pretese di eccessiva novità.

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