I supereroi sono dietro l’angolo, fieri dei loro superpoteri e
ciononostante afflitti non di rado da tristezze esistenziali, quasi
vittime di una condanna che li costringe ad essere vincitori ad ogni
costo su nemici molto più disinibiti di loro, Superman, Batman,
Spiderman, Hulk e company.
Nato negli stessi anni sulle pagine dei fumetti, Capitan America condivide alcuni di questi caratteri ma non tutti. La guerra contro nemici, se non veri perlomeno verosimili – come i nazisti di “Teschio rosso”, un seguace di Hitler divenuto anch’esso “super” grazie ai poteri della scienza –, l’ha reso coriaceo alle eccessive inquietudini che colpiscono i suoi colleghi gravati da oscuri destini. Tranne il dato di partenza: quell’indigesta inferiorità fisica che gli impediva di essere arruolato e fare la sua parte nel secondo conflitto mondiale e che il cocktail di sieri vari, preparato da uno scienziato probabilmente ebreo – il “nostro” Stanley Tucci -, gli ha permesso di superare donandogli un fisico da superpalestrato Vinte le mene del politico che ne voleva fare semplicemente un eroe da musical o un’icona di vittoria, Capitan America diventa un soldato vero, un eroe a sue spese, coadiuvato soltanto da un gruppo di commilitoni in armi e da un superscudo speciale, volta a volta arma di difesa e di offesa, nonché insuperabile boomerang. Nelle imprese belliche - solo un po’ da videogioco ante-litteran - Captain America è soltanto il prototipo di un generoso, e alla fin fine sfortunato, “eroe di guerra”.
Nato negli stessi anni sulle pagine dei fumetti, Capitan America condivide alcuni di questi caratteri ma non tutti. La guerra contro nemici, se non veri perlomeno verosimili – come i nazisti di “Teschio rosso”, un seguace di Hitler divenuto anch’esso “super” grazie ai poteri della scienza –, l’ha reso coriaceo alle eccessive inquietudini che colpiscono i suoi colleghi gravati da oscuri destini. Tranne il dato di partenza: quell’indigesta inferiorità fisica che gli impediva di essere arruolato e fare la sua parte nel secondo conflitto mondiale e che il cocktail di sieri vari, preparato da uno scienziato probabilmente ebreo – il “nostro” Stanley Tucci -, gli ha permesso di superare donandogli un fisico da superpalestrato Vinte le mene del politico che ne voleva fare semplicemente un eroe da musical o un’icona di vittoria, Capitan America diventa un soldato vero, un eroe a sue spese, coadiuvato soltanto da un gruppo di commilitoni in armi e da un superscudo speciale, volta a volta arma di difesa e di offesa, nonché insuperabile boomerang. Nelle imprese belliche - solo un po’ da videogioco ante-litteran - Captain America è soltanto il prototipo di un generoso, e alla fin fine sfortunato, “eroe di guerra”.
Il film ha il
pregio di conservare l’aura “anni Quaranta” del fumetto originale, direi
che fra tutte le produzioni promosse e orchestrate dalla Marvel questa è
la più semplice e insieme la più solare, aliena da complicazioni
ereditarie o psicanalitiche e per questo particolarmente apprezzabile.
Ma lo sconcertante e melanconico finale che chiude questo primo capitolo
- diretto da Joe Johnston nel 2011 – apre ad altre avventure: secondo
capitolo e terzo capitolo già in circolazione e ulteriori in lavorazione.