Autore singolare, Woody Allen, anche dopo essersi lasciato alle spalle i
Settanta ed ora gli Ottanta continua a girare in media un film all’anno
ma ne azzecca uno ogni tre. Non gli si può negare un raro talento
nell’abbozzare storie “aperte” e nello scrivere brillanti dialoghi.
“Blue Jasmine” (2013) appartiene alla categorie dei film azzeccati.
La
storia alterna i due tempi della vita della protagonista, quello in cui è
la ricca consorte di un finanziere imbroglione
e quello in cui in totale povertà deve farsi ospitare dalla sorella
adottiva. Due tempi che sono anche due mondi: quello dell’alta borghesia
spendereccia e quello proletario. Nel tentativo di salvarsi dalla
depressione post-sinistro (fallimento e suicidio del consorte) nonchè di
riconquistare il livello sociale in cui è precedentemente vissuta, la
protagonista cerca di trovare una soluzione per sfuggire alla propria
angoscia, o meglio alla sua psicosi. Tentativo destinato al fallimento.
Il film racconta questa doppia storia con l’estro dell’Allen dei giorni
buoni, puntando soprattutto sulla validità degli interpreti, fra cui
prende il volo Cate Blanchett col suo straordinario vibratile disperato
personaggio giustamente premiato con l’Oscar. Non dimenticheremo questa
donna fragile e dignitosa, nevrotica ma aperta alla speranza. Un
ritratto così vero e impietoso da urtare la nostra placida sensibilità
di spettatori.
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