Entertainer di cabaret e inventore o quasi del genere televisivo della
sit-com, Jackie Gleason da noi in Italia è scarsamente famoso e ancor
più scarsamente conosciuto. L’unico ricordo è legato alla sua
prestazione nel film “Lo spaccone” (1961) con Paul Newman, a cui fecero
seguito una dozzina di altri film. In America no, Gleason è un mito, uno
dei miti di media o cospicua grandezza creati dalla tv. I
nevitabile
quindi che la tv gli tributasse il doveroso omaggio attraverso
l’immancabile telebiografia o biopic che dir si voglia. “Gleason”
(2002) ha un inizio non particolarmente originale che poi si ricongiunge
al finale: una sorta di confessione dell’anziano entertainer dà il via
alla ricognizione biografica. Come spesso avviene in questi casi, la
parte più seducente è quella legata all’infanzia del personaggio, con
quel bambino grassottello sballottato fra una madre responsabile quanto
apprensiva e un padre irresponsabile quanto vittima dell’alcool,
l’incontro con la seduzione del music-hall, la scoperta del teatro. Più
pasticciato il film-tv nel raccontarne la successiva scalata anche
perché le sue esternazioni da uomo di cabaret, nel doppiaggio nostrano,
non danno conto dell’attrattiva esercitata sul suo pubblico all’epoca.
Amore, vita di famiglia, cammino un po’ scriteriato fra conquiste e
occasioni perdute.
Che dire di più? Che il protagonista mostra una
straordinaria somiglianza con l’originale e se la cava egregiamente e
che la biografia scorre senza difetti e senza entusiasmarci. Ma le
rievocazioni nostrane di eventi e personaggi televisivi del recente
passato o addirittura del presente riescono a fare assai di peggio.
Nessun commento:
Posta un commento