Un cavallo chiamato uomo
Parafrasando e rovesciando il titolo di un famoso film, “Un uomo chiamato cavallo”, la serie cartoon, prodotta e distribuita da Netflix, giunta alla terza stagione con una quarta in lavorazione, chiosa le avventure hollywoodiane di un divo di sit-com in procinto di diventare un ex-divo e insieme lo strano mondo che gli gira intorno: manager tuttofare, produttori esecutivi che rubano idee, ex-divi che assumono ghost writer per eternare o reinventare le proprie squallide memorie, divi bambini che a distanza di anni diventano spenti ma intraprendenti adulti. E così via. I
Parafrasando e rovesciando il titolo di un famoso film, “Un uomo chiamato cavallo”, la serie cartoon, prodotta e distribuita da Netflix, giunta alla terza stagione con una quarta in lavorazione, chiosa le avventure hollywoodiane di un divo di sit-com in procinto di diventare un ex-divo e insieme lo strano mondo che gli gira intorno: manager tuttofare, produttori esecutivi che rubano idee, ex-divi che assumono ghost writer per eternare o reinventare le proprie squallide memorie, divi bambini che a distanza di anni diventano spenti ma intraprendenti adulti. E così via. I
l tutto
raccontato da Will Arnett, collaudato attore canadese, coadiuvato da
Aaron Paul, protagonista giovane della celeberrima “Breaking Bad”, e
interpretato da “animaloidi” e “umanoidi” mischiati insieme con molta
fantasia e una grafica furbescamente elementare.
Sulla scia delle più
celebri e popolari serie d’animazione dedicate a una certa satira (da “I
Simpson” a “I Griffin”) la serie Netflix situa stavolta le sue
invenzioni in un universo hollywoodiano (ma una Hollywood tarpata dalla
D) con allusioni talvolta un po’ da addetti ai lavori. Ha successo e si
può capire il perché.
A me, dopo l’iniziale sconcerto per questi
protagonisti umano-animali, a cominciare dal protagonista Bojack
Uomo-Cavallo, ha divertito e sto consumando voracemente la seconda
stagione.
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