L’assassino è il maggiordomo: era la consueta prevedibile conclusione
dei vecchi onesti “gialli” inglesi sulla scia di Agatha Christie, una
consolatoria soddisfazione per la nostra intelligenza di lettori e
detective in erba. Poi anche i “gialli” si sono complicati, a cominciare
dai classici americani, hard boiler e non, e il bene e il male hanno
cominciato a confondersi. Il gioco si è fatto più complesso ma la
soluzione sempre quella: il più inoffensivo e
insospettabile dei buoni era il cattivo. Il sano manicheismo del giallo
stile inglese cedeva il passo a un sano scetticismo prendendo le
distanze dei buoni troppo buoni. Ma l’attuale deriva del thriller è ben
lontana da ambedue gli assunti. Bene e male sono ormai indivisibili, sia
i difensori della giustizia che i delinquenti dichiarati condividono lo
stesso culto della violenza, che può giungere sino alla sopraffazione
sadica.
Questa lunga premessa per parlare di un thriller non tanto
vecchiotto (2008) dove un Keanu Reeves, poliziotto senza scrupoli che si
è autonominato giustiziere, usa gli stessi metodi dei suoi avversari e
dove alla fin fine, quel suo capo pacioccone, sempre pronto a sostenerlo
e a prenderne le difese, - interpretato da Forest Whitaker, bravissimo
come sempre - si rivelerà il più spietato e disonesto della partita.
Insomma siamo intrisi di violenza e la spregiudicatezza – che è rinuncia
dei cosiddetti valori – regna sovrana. Una visione pessimistica della
realtà, o magari soltanto realistica.
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