AFFARE FATTO



Ricetta per fare un commedia cinematografica, meglio se americana. Primo: scegliere un attore accreditato per il genere, Vince Vaughn va benissimo. Secondo: abbinargli un paio di figuri a fargli da soci, uno anziano e uno giovane, quello anziano scafato e rompicoglioni, quello giovane immaturo e coglione. Fatto. Che il soggetto tratti della rivalità in affari fra una bionda manager, con una grossa società alle spalle, e i tre “sola” senza arte né parte che ci provano. 
Difficoltà ad ogni passo, ben seminate fra la nativa America e la Germania dell’industria, da Amburgo sino alla capitale Berlino, sentina di affari ma anche di altre delizie, fra cui il sesso. Qualche sequenza di nudo non guasta, un bagno turco con una serie di tette al vento e un vasto assortimento di amplessi, sia normali che trasgressivi. C’è poi la trovata del sexy-party per appendici maschili al vento. Cosa pretendete di più da un creatore di commedie? 
Sarà pure una ricetta perfetta ma il risultato e appena mangiabile e francamente indigeribile. Ah, le belle commedie di una volta, con quei bisticci amorosi in punta di penna fra attori e attrici che ci sapevano fare!...

BIG GAME - CACCIA AL PRESIDENTE



La Finlandia, ma chi la conosce? Certamente non io che nei miei numerosi viaggi non mi sono mai spinto a Nord più su di Aarhus in Danimarca. Eppure esiste ed è – stando a questo film – terra di montagne e di fieri cacciatori. 
Mentre appunto un babbo cacciatore presiede all’iniziazione di suo figlio tredicenne, un po’ imbranatello secondo lui, accade là vicino qualcosa di terribile: un attentato al Presidente degli USA mentre è in volo per raggiungere uno dei soliti incontri al vertice in quel di Helsinki. Conclusione: il mitico aereo presidenziale collassa e il presidente viene sparato lontano tramite capsula di salvataggio. E ti va a cadere proprio dove il piccolo apprendista cacciatore sta esercitandosi. In realtà non si è trattato di un incidente ma di un vero e proprio sabotaggio per eliminare il Presidente messo in atto da una frazione armata. Agguati, fughe, peripezie assortite e il ragazzino riuscirà a mettere in salvo il Leader Usa guadagnandosi i galloni di supercoraggioso. 
Il riassunto l’ho buttato giù un po’ allegretto ma non tragga in inganno il lettore: si tratta di un film godibilissimo e ben architettato, con un ragazzino dalla faccia un po’ esquimese e un Presidente che è il tuttofare Samuel Jackson, stavolta nei panni di un buono, anche se imbelle. Prodotto dalla Finlandia il film (2014) riesce in modo egregio anche ad adempiere alla sua funzione promozionale e in più è divertente, con quel tanto di tensione necessaria a farci sopportare il caldo di un estate un po’ eccessiva.

LA NOTTE NON ASPETTA



L’assassino è il maggiordomo: era la consueta prevedibile conclusione dei vecchi onesti “gialli” inglesi sulla scia di Agatha Christie, una consolatoria soddisfazione per la nostra intelligenza di lettori e detective in erba. Poi anche i “gialli” si sono complicati, a cominciare dai classici americani, hard boiler e non, e il bene e il male hanno cominciato a confondersi. Il gioco si è fatto più complesso ma la soluzione sempre quella: il più inoffensivo e insospettabile dei buoni era il cattivo. Il sano manicheismo del giallo stile inglese cedeva il passo a un sano scetticismo prendendo le distanze dei buoni troppo buoni. Ma l’attuale deriva del thriller è ben lontana da ambedue gli assunti. Bene e male sono ormai indivisibili, sia i difensori della giustizia che i delinquenti dichiarati condividono lo stesso culto della violenza, che può giungere sino alla sopraffazione sadica. 
Questa lunga premessa per parlare di un thriller non tanto vecchiotto (2008) dove un Keanu Reeves, poliziotto senza scrupoli che si è autonominato giustiziere, usa gli stessi metodi dei suoi avversari e dove alla fin fine, quel suo capo pacioccone, sempre pronto a sostenerlo e a prenderne le difese, - interpretato da Forest Whitaker, bravissimo come sempre - si rivelerà il più spietato e disonesto della partita. Insomma siamo intrisi di violenza e la spregiudicatezza – che è rinuncia dei cosiddetti valori – regna sovrana. Una visione pessimistica della realtà, o magari soltanto realistica.

QUARANTENA



Remake di un film spagnolo dell’anno prima, “Quarantine” (2008) declina all’ennesima potenza il criterio della cinepresa protagonista. Ci sono due principali ruoli a cui può assolvere una cinepresa: essere testimone, cioè assumere una posizione “al di fuori” della situazione che sta riprendendo, o essere “personaggio”, cioè prendere parte all’azione e porsi al suo interno. 
In “Quarantine” la telecamera in questione, amministrata da una pimpante telecronista, è impegnata in un banale servizio televisivo su una giornata accanto ai Vigili del fuoco, ma finirà impigliata nel contesto in cui sta muovendosi divenendo fatalmente partecipe di quanto sta accadendo, anzi ne è travolta, insieme alla cronista che dovrebbe guidarne l’azione: registra quanto accade in modo provvisorio, improvvisato, sgrammaticato, per seguire lo svolgersi drammatico degli avvenimenti, ne coinvolta. L’azione si fa vieppiù drammatica: la squadra dei Vigili è stata convocata in un certo stabile per controllare le esuberanze aggressive di una vecchia coinquilina, ma assisterà allo scatenarsi di un epidemia di rabbia che contagia via via tutti i condomini. Telecamera e giovane cronista sono entrambe prigioniere, fra un popolo di disperati progressivamente contagiati dalla malattia che si trasforma in epidemia contagiosa per cui viene impedito a tutti – telecamera compresa – di abbandonare lo stabile. Dopo un frivolo inizio “à la manière de” l’azione precipita, il dramma assume toni drammatici, disumani. E la telecamera impazzisce, unica testimone di un dramma nell’attimo stesso in cui si sta svolgendo. 
 Un film singolare, potente, inconsueto, direi un esperimento unico e forse difficilmente ripetibile: La “camera a mano”, in costante movimento, alla ricerca della messa a fuoco, con rapidi e sommari spostamenti d’attenzione, testimonia tutto senza soluzione di continuità. L’assunto del regista è di essere estremamente realistico nella forma come nei contenuti, come in un rigoroso quanto impossibile documento di cinema-verité. Resta l’equivoco di una telecamera protagonista che deve sempre e comunque muoversi e aggiornarsi, anche quando l’azione potrebbe non richiederlo e che quindi talvolta esaspera un po’ gratuitamente i propri movimenti. 
Fra gli interpreti – tutti veri più che bravissimi – domina la brava Jennifer Carpenter che avevano conosciuto come colonna portante delle serie Dexter.